BAMBINI E TERAPIA FAMILIARE: quando sono i più piccoli ad avere bisogno
Più ci si forma sull'età evolutiva e si lavora con i bambini più ci si rende conto, da professionisti della salute mentale, quanto sia difficilmente realizzabile uno spazio di benessere per i bambini sotto gli 11 anni senza il lavoro con le loro famiglie.
Potrebbe essere considerato quasi controproducente o comunque molto limitante pensare di poter aiutare i bambini senza considerare il peso della variabile familiare, sia per quanto concerne il mantenimento (per la maggior parte delle volte inconsapevole) dello stato di disagio del bambino, sia come chiave di volta per la risoluzione delle problematiche o, perlomeno, come elemento cruciale per il miglioramento del benessere (sia dei più piccoli, che dei più grandi!).
Perché il lavoro solo con i bambini ha poco senso?
Sebbene la figura dello psicologo o dello psicoterapeuta abbia una vocazione di cura e non un intento educativo o prettamente pedagogico, ha comunque delle cruciali responsabilità di coordinamento psicoeducativo verso i genitori.
A proposito di minori, nella terapia sistemica e familiare, possiamo considerare due responsabilità fondamentali:
- la formazione di una alleanza terapeutica con i genitori, ovvero la creazione di una squadra che collabori e vada nella medesima direzione, ognuno nel proprio contesto di riferimento e ognuno con i propri strumenti e le proprie risorse;
- la trasparenza e la condivisione con i genitori delle caratteristiche del processo di cura, nonché l'esplicitazione degli obiettivi terapeutici, delle ipotetiche cause che hanno creato il malessere, delle possibili conseguenze e delle metodologie proprie della terapia.
Solo attraverso una esplicita e corretta informazione dei genitori vi è la possibilità di creare un clima di cooperazione e di fiducia, grazie al quale il bambino/ragazzino viene preso in carico e guidato verso un maggiore benessere.
Quando ci si rivolge ad uno psicologo per un bambino?
Solitamente, nel momento in cui ci chiediamo se possa essere d'aiuto chiamare uno specialista, già è arrivato il momento di farlo, perché significa che le modalità che fino a quel momento abbiamo utilizzato per cercare di gestire la problematica non sono sufficienti.
Se abbiamo dei dubbi sull'utilità dello specialista per nostro figlio, sarà probabilmente lo stesso psicologo a fugarceli attraverso un primo colloquio conoscitivo o consulenziale. Infatti, è possibile che durante il primo colloquio, proprio come avviene con altri specialisti della salute, egli possa:
- rassicurare ed aiutare i genitori a trovare delle modalità utili per la gestione delle difficoltà riscontrate;
- inviare ad un'altra figura o ad un altro servizio più adatto per le esigenze della famiglia;
- prendere in carico il bimbo e la sua famiglia per un tempo che varia in base alle problematiche portate.
Non esistendo un manuale sulla genitorialità perfetta e non esistendo delle regole a priori che indichino ai genitori come comportarsi con ogni figlio, i colloqui con i professionisti possono essere necessari o molto utili per cercare di meglio comprendere i significati sottostanti ai sintomi dei propri figli e capire, non solo le cause della loro origine, ma anche come gestire le loro condotte nel modo più funzionale possibile
Quali sono i campanelli d'allarme?
Molti genitori arrivano da uno professionista della salute mentale portando dei "sintomi", ovvero dei comportamenti, degli atteggiamenti osservabili, che esprimono un disagio e che sono probabilmente faticosi da gestire e da comprendere fino in fondo.
Ad esempio, fra i tanti sintomi, gli adulti spesso notano dei cambiamenti del rendimento scolastico o delle paure/insicurezze importanti nell'ambito scolastico, una chiusura comunicativa più o meno rigida o un comportamento oppositivo e/o provocatorio.
Ma non solo, a volte i genitori evidenziano un cambiamento nel regime alimentare e quindi un comportamento particolarmente restrittivo o sregolato, come anche un cambiamento nelle relazioni con i coetanei o nelle abitudini relative al tempo libero (ad esempio un aumento esponenziale del tempo passato online) o, ancora, dei comportamenti autolesivi, aggressivi o bizzarri.
Altri possono rivolgersi ad un professionista per eventi puntuali (ad esempio l'adozione, l'affido, un trauma, ...) o per la gestione di disturbi psicologici sospetti o diagnosticati (quali Disturbi Specifici dell'Apprendimento, Sindrome da Deficit di Attenzione e Iperattività, Disturbo d'Ansia Generalizzata, Disturbo dell'Attaccamento ...) o per trattare le conseguenze psicologiche di altre patologie (come il Diabete).
Altri casi in cui vengono coinvolti i figli nella terapia familiare
Tuttavia, i problemi dei più piccoli non sono l'unico motivo per cui essi partecipano alle sedute, ma possono essere coinvolti per via di questioni che li coinvolgono indirettamente.
Infatti, è possibile che i bimbi partecipino ad alcune sedute anche quando il problema coinvolge soprattutto altri membri e riguarda, ad esempio, un cambiamento repentino in famiglia (ad esempio un cambio drastico di stile di vita o di lavoro, un trasferimento), una separazione da un membro della famiglia, la malattia di un familiare, un lutto...
Pertanto, non è detto che il/la bimbo/a debba partecipare a tutte le sedute, ma può essere coinvolto se il terapeuta, in accordo con i genitori, reputa possa giovare al nucleo.
Come funziona la terapia con i bambini?
Per un approfondimento del funzionamento della terapia familiare rimandiamo all'articolo "Perché scegliere una terapia familiare" In questa sede ci limiteremo a dire che i 'formati', ovvero le combinazioni dei membri durante le diverse sedute, possono essere diversi e variare di volta in volta. Ad esempio, talvolta, possono essere convocati al colloquio solo i genitori, altre volte può essere chiamata tutta la famiglia, altre ancora solo i fratelli o solo alcuni membri della famiglia, tutto sulla base della problematica portata e delle valutazioni proprie del terapeuta.
Quindi non è detto che il bambino faccia tutto il percorso psicologico da solo ma, diversamente, è possibile che venga accompagnato nella seduta da qualcuno.
In generale, si può affermare che, a seguito di un primo colloquio con i genitori, la composizione delle successive sedute può variare e coinvolgere sia il bambino che gli altri membri della famiglia.
Anche la durata e la frequenza possono variare in base al problema da trattare, anche se, in generale, la terapia sistemica è un approccio breve rispetto alle tradizionali terapie dinamiche e psicanalitiche poiché si basa:
- su principi di competenza dei clienti
- sulla condivisione del processo di terapia e dunque sulla condivisione di osservazioni e riflessioni riutilizzabili anche a casa
- su una modalità di conduzione attiva del terapeuta che formula ipotesi e riflette insieme ai pazienti
- e sul potenziamento delle risorse già esistenti nelle persone o nel contesto di vita della famiglia
- sulla creazione di una rete di sostegno dentro e fuori la famiglia che irrobustisce il lavoro di terapia.
Quali sono gli strumenti utilizzati durante le sedute e quanto possono stressare il bambino?
Per quanto riguarda gli strumenti utilizzati in terapia, ci soffermiamo su quello che più riguarda i bimbi: il gioco!
Il gioco, che può essere inteso come un'attività ludica, non prettamente verbale, può aiutare i più piccoli sia a narrare le loro esperienze quotidiane, sia a esternare il loro mondo interno. Per questo, lo psicologo può utilizzare il disegno, giochi in scatola, giochi a corpo libero, libri, lego, pupazzi e costruzioni varie.
È, infatti, principalmente attraverso questo, unito a criteri diagnostici, griglie osservative, domande e tanto dialogo che il terapeuta raccoglie informazioni, formula ipotesi e tesi e agisce nella stanza di terapia aiutando i bambini non solo a esprimere emozioni e pensieri, ma anche a trovare delle strategie migliori per gestire le difficoltà.
Ciascuna attività è pensata e strutturata ad hoc per ogni bambino e ogni famiglia quando partecipa alle sedute, dunque il rischio di stress o di frustrazione per i più piccoli è veramente limitato. In ogni caso, alla base della pratica clinica vi è il rispetto dei tempi e dei bisogni del bambino: lo psicologo è chiaramente allenato a cogliere i segnali di tensione e, laddove necessario, a correre ai ripari interrompendo l'attività, confortandolo o eventualmente aiutando la famiglia presente in seduta a trovare il modo migliore per ristabilire l'equilibrio.
In conclusione, le sedute familiari rappresentano un ottimo strumento per aiutare sia i bambini a stare meglio, sia le loro famiglie a comprendere più a fondo il disagio dei più piccoli e apprendere metodi di riflessione e strumenti utili per l'intera vita familiare.
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